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ILLEGGIBILI E AFFABILI: SOSTENNE MANGANELLI

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Ben ritrovati, care e cari. E' stato un buon mese, ricco di letture e scritture e riposo. Il ritorno sul blog sarà ancora per un poco saltellante: mercoledì mattina parto per Matera (Materadio) e tornerò lunedì, e dopo due giorni sarò a Mantova per il Festivaletteratura fino al lunedì successivo. Tra un viaggio e l'altro, qualche piccola nota. Non mia, nel caso che segue. Come forse saprete,  questa è stata un'estate dove è tornato l'antico anatema: il romanzo è morto, anzi è morta la letteratura, anzi la cultura tutta. Questione, appunto, vecchia e irrisolta. Per ragionarci sopra, vi posto l'intervento che Giorgio Manganelli scrisse per "Quindici", numero del marzo-aprile 1968. Si chiamava "La letteratura come mafia". Ripeto, 1968. Buona lettura.

Sul numero 7-8 di Nuovi Argomenti Alberto Moravia pubblica una decina di pagine, «Illeggibilità e potere »: note e considerazioni critiche che prendono le mosse da una propo­sizione che mi accadde di scrivere, alcuni mesi or sono, a chiusa di una recensione. Dio sa quanto io’abbia cara la figura istituzionale del commentatore: e questo quinterno di note, che il noto romanziere ha appeso a quelle righe, dovrebbe costituire un evento illustre ed eccitante.

Vi sono tuttavia alcune limitazioni: il Mo­ravia non nomina mai « il critico » cui si rife­riscono le sue note, non cita la recensione, e neppure quelle tre righe che hanno ispirato la sua meditata polemica. Non disapprovo la sua discrezione. Infatti, scorrendo i primi para­grafi del saggio, ho sperimentato la frustrante, deprimente sensazione che tocca in sorte a chi racconti una socievole storiella, e la veda accolta, seriosamente, come un abbozzo di Weltanschauung, o una analisi concettuale.

Scrive il Moravia: « Tempo fa un critico ha incitato un romanziere, nella conclusione di una sua recensione, a scrivere libri illeggi­bili. Questo invito ci ha sorpreso e ancor più fatto riflettere ». Ecco, non è davvero il genere di sorpresa e di pensosità che « il critico » si lusingava di provocare. Quelle tre righe (« Resta da chiedersi perché scrittori di fan­tasia in qualche modo inconsueta si impegnino a scrivere libri di svelta e fortunata lettura, quando, con qualche fatica aggiuntiva, potreb­bero scriverne di illeggibili ») concludevano la recensione di un libro, « Scacco alla Regina », che mi pareva, e mi pare, costosamente cheap; ovviamente, « l’invito » aveva senso in quel contesto, e in quel tono, che non sarà qui il caso di spiegare, anche perché le battute non si spiegano. Ma il Moravia continua: « perché si scrivono libri illeggibili? Il critico non è stato chiaro su questo punto… Ed è un vero peccato perché se avesse fornito delle ragioni inoppugnabili, ci avrebbe risparmiato la scrit­tura di queste note ». Certo, se invece di rac­contare una storiella salace, il professore avesse scritto un trattato di estetica, poteva dirne di cose; ma, per mimare la prosa del Moravia, « tant’è ».

Tant’è: facciamo conto che quel discorso fosse concettoso, articolato, serio e serioso: e diamo un’occhiata a questi pensosi pensieri moraviani. Superata la sorpresa, e messosi a meditare, il Moravia fa certe osservazioni, ed elabora alcune conclusioni. Ammette che « l’illeggibilità reale, oggettiva, letterale, è per­seguitata con ostinazione da tutta una corrente della letteratura moderna». Donde la doman­da: « perché si scrivono libri illeggibili? ». Intanto, distinguiamo: ci sono libri illeggibili per sempre, ed altri destinati a restare tali solo per qualche tempo; ovviamente, « il cri­tico » si riferiva ai secondi, che sono, poi, i libri che « possono essere letti soltanto dal critico in questione e da altri del suo gruppo o scuola o corrente ». Un autore può essere « naturalmente e spontaneamente illeggibile » in quanto « “ diverso ” dai suoi lettori even­tuali ». Ma, allora, « perché pubblica? ». Ed ecco il nocciolo della pensata: « Ma se spo­stiamo il problema della illeggibilità dal piano della comprensione a quello della promozione, vediamo che allora tutto cambia ». Cioè: lo scrittore vuole pubblicare perché sa che, « pur non potendo sperare di essere capito », « que­sto gli sarà utile ».

Pubblicare un libro illeggibile significa: a) porsi in una posizione tendenzialmente anti­cipatrice, pertanto b) essere moderni, dunque c) conseguire prestigio. « L’illeggibilità è mi­nacciosa e lusinghiera »: è uno strumento di potere, come gli ideogrammi cinesi, come il latino dei preti e degli avvocati, che servono a tenere a posto gli inferiori (« le plebi del nostro meridione »). Ma c’è dell’altro: essendo moderna, l’illeggibilità « è garanzia di qualità per le masse … le masse hanno adottato la scala di valori proposta dall’avanguardia … le masse oggi vogliono il testo letterario di qua­lità, illeggibile … le masse comprano i libri perché sono illeggibili e le avanguardie hanno trasferito la loro avversione dalle masse agli scrittori leggibili… »; le avanguardie non attaccano più le masse come facevano, invece, i promotori delle avanguardie storiche, « ma quei pochi scrittori che riescono insieme vali­di e leggibili ».

L’illeggibilità è per lo più propria degli immaturi; questi immaturi, che confondono « potere » con « potenza », e cioè capacità di creare, produrre, scrivere (confusione che il Moravia è disposto a giudicare « sincera » e « in buona fede ») sono come le donne « che non hanno ancora incontrato l’uomo capace di procurare loro l’orgasmo ». Infatti « gli scrit­tori dei testi illeggibili si illudono di espri­mersi soltanto perché la loro pseudo espres­sione gli procura tutte le soddisfazioni mon­dane che essi ritengono debbano spettare a chi si esprime. Purtroppo essi non si rendono conto che, come si dice, manca il meglio; cioè che il loro successo è un piccolo vertice che gira intorno il vuoto ».

Ho voluto citare con qualche ampiezza e alla lettera, per consentire al lettore di gu­stare la nervosa prosa critica moraviana, e per non far torto alla finezza dell’invenzione, alla bella estrosità intellettuale: tutte cose che si guastano con un niente. Il Moravia ha esat­tamente inteso come nessun problema intellettuale, nessuna tensione fantastica, nessuna idea del linguaggio e delle sue strutture, nes­suna immagine, fors’anche temeraria, della let­teratura sia implicita nelle ricerche degli scrit­tori che egli classifica « illeggibili »; è tutta questione di immaturità, ansia di « promozio­ne », di acerbità nevrotica: non sarà sfuggita la bella similitudine della donna ignara di orgasmo, sebbene a mio avviso il Moravia un poco sopravvaluti l’importanza filosofica e pe­dagogica di un buon coito.

Certo al Moravia, uomo schivo, alieno dalle demagogie, non può non dar fastidio il chias­so non sempre elegante, i baccanali messi in opera dalle corporazioni degli illeggibili, la lo­ro ingorda fruizione del successo; a chi è abi­tuato a pochi e antichi lettori, tirature da ama­tore, avare collaborazioni a fogli preziosi e rari, non può non ripugnare il conclamato successo « di massa » — capite, « di massa » — di questi immaturi congiurati. E poi, con­fessiamolo, il successo mondano! Recentemen­te, trascorrevo una notte nel vortice di un fa­stoso veglione, sorbivo, procedendo su soffici bukhara, liquori dai conturbanti aromi orien­tali, mirabili femmine, inguainate in costosi vestiti, sensuali e stupite fremevano su dama­scati divani, mentre io passavo, alto, slanciato, distaccato e pallido, con l’occhio mobile, nervo­so cogliendo attorno a me oh i proibiti lan­guori di Alfredo Giuliani, la malizia acerba di Nanni Balestrini, la sardonica voluttuosità del Sanguineti, la neghittosità orientale del Pagliarani! E’ vero: il racket degli illeggibili detiene ed esercita un duro potere: radio, ci­nema, teatro, jets, premi, tutti i premi, liquo­ri costosi, tirature planetarie; e intanto, i leg­gibili e validi languono, appartati nelle loro soffitte, con mano scarna e tremula vergano le loro storie educative, ed ogni inverno muoio­no come le mosche e, non fosse la pietas dei parrocchiani, li seppellirebbero nelle fosse co­muni.

Tuttavia, togliendoci di dosso il povero or­pello di un’ora di follia, che, come dice il Moravia con icastica immagine, non è che « un piccolo vortice che gira attorno il vuoto », ve­diamo se si possa concludere con qualche bella e nobile sentenza, questa disputa tra leg­gibili e illeggibili.

Sono ormai generazioni che le due schiere si fronteggiano, si misurano, con varia fortuna si contrastano. Da una parte, la letteratura che il Moravia definisce leggibile e giudica vali­da; una letteratura che si suppone, ahimè, non senza ragione, « umanistica », che trae ispira­zione « dalla vita », che teorizza la propria affabilità e non di rado s’immagina o si pro­pone di dar opera al miglioramento dell’uma­nità. Caratteristica minima della letteratura leg­gibile in questa interpretazione è la più radi­cale, e forse lievemente patologica mancanza di ironia.

D’altro canto, esistono scrittori che non col­tivano una programmatica affabilità; non lu­singano il lettore, anzi non senza protervia i aspirano a inventarselo da sé: provocarlo, irretirlo, sfuggirgli; ma insieme costringerlo ad i avvertire, o a sospettare, che in quelle pagine 1 oscure, velleitarie, acerbe, in quei libri faticosi, sbagliati, si nasconde una esperienza intellettuale inedita, il trauma notturno e immedicabile di una nascita. Il loro lavoro letterario si concentra su di una tematica linguistica e strutturale; domina la coscienza dell’atto artificiale, anche innaturale della letteratura; i e si celebra la fastosa libertà, l’oltraggiosa anarchia dell’invenzione di inedite strutture linguistiche. Discontinue schegge di retorica, i coaguli linguistici inadoperabili per compiti di socievole sopravvivenza, infine, carattere supremamente distintivo, una lingua letteraria improbabile, fitta di citazioni, anche maniacale; una lingua morta. Non è letteratura affettuosa, non accarezza i cani, in genere non svolge compiti missionari. Se il Moravia mi consente di usare un concetto espresso tempo addietro dal suo omonimo, è una letteratura che aspira ad una condizione « estrema ».

Sommessamente, con peritosa discrezione, vorrei additare all’interesse dei lettori questa letteratura scostante, ignara di buona coscienza, pronta a tutte le terroristiche, frigide audacie della retorica. A scriverla, ci voglion scrittori latinisti, o matematici.


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